giovedì 20 settembre 2012

La pesca con le nasse, un mestiere difficile che continua nel tempo


"Ci vuole un giorno per realizzare una nassa piccola, due per quelle più grandi per pescare i gronchi, col giunco che arriva da Cagliari o da Catania e ora costa anche diecimila lire al chilo, perché il giunco non cresce a Bonagia (TP) e non è tutto lo stesso, c'è quello mascolino tondo, e quello fimmina più piatto, buoni tutti e due, ma troppo cari"
(Dal racconto di Rosa Barraco, costruttrice di nasse vissuta lo scorso secolo in provincia di Trapani).
Praticata per lo più nel Sud Italia, la pesca con le nasse ancora oggi offre spunti di romanticismo che difficilmente negli altri mestieri della pesca professionale si possono osservare. Basti pensare che questa pesca, tramandata di padre in figlio nei secoli, è rimasta immutata nel tempo. La struttura delle nasse, le imbarcazioni, le esche e i metodi di pesca non si sono piegate alla prepotente tecnologia che ha conquistato anche il mondo della pesca professionale. Sono rimasti in pochi, sparsi qua e là, molti lavorano nelle isole come Ustica o Lampedusa o lungo la costa meridionale della Sicilia. Anche in Calabria, in Veneto ed in Campania questa pesca continua anche se adesso è sempre più raro vederla utilizzata. Le imbarcazioni spesso piccole ed in legno si riconoscono subito per il grande numero di nasse che trasportano.
La nassa non è nient'altro che una "trappola" costruita a forma di Campana dove nella parte basale vi è un imbuto, con un piccolo foro che permette alla preda di entrare e di rimanervi intrappolata.
Ovviamente per invogliare il pesce o i crostacei ad entrarvi vengono inserite delle esche molto odorose che attireranno la preda all'interno dopo aver aguzzato l'ingegno e aver trovato l'entrata. Ma cosi come è difficile l'entrata all'interno della nassa, ancora più difficile è l'uscita, questo dato proprio dalla conformazione ad imbuto della trappola che non permetterà più alla preda di uscire.
...continua

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